Il 18 maggio Rosanna, all’età di 83 anni, ci ha lasciati. Originaria di Cerignola, la famiglia è numerosa e povera e il cibo spesso manca. Quando la zia suora propone alla famiglia di portare nel collegio di monache una delle figlie con l’allettante promessa di 3 pasti al giorno fu scelta Rosanna di 11 anni. Ma già qui si manifesta il suo carattere ribelle. Una volta viene punita con un caldaio (grosso recipiente per far bollire l’acqua) legato al collo per aver giocato invece che lavare le stoviglie. Invece di chiedere scusa come richiesto si presenta così in chiesa nel giorno di domenica, mentre si svolge la messa aperta alla partecipazione dei fedeli del circondario, provocando scandalo e imbarazzo per l’Istituto. All’età di 19 anni, anziché farsi suora come il collegio che l’ospitava avrebbe voluto, se ne ritorna a casa, dove la situazione della famiglia è ancora in condizione di povertà. A questo punto gran parte della numerosa famiglia nel 1958 decide di trasferirsi a Milano, dove sono costretti ad abitare nei “centri sfrattati”, come spesso avveniva allora soprattutto per le famiglie che si spostavano dal sud. Con mobilitazioni e lotte riescono ad ottenere una casa popolare in via Nikolajevka. Il primo lavoro di Rosanna è in una maglieria fino a quando il padrone, che la vede a parlare con una sua collega, gli tira un maglione in testa e lei reagisce buttando in aria il lavoro che stava facendo e si licenzia. Viene poi assunta alla Osram dove, per il tipo di lavoro particolarmente nocivo, con la fiamma a gas, si ammala di ghiandole tubercolari. Deve essere ricoverata per 6 mesi in una struttura ospedaliera della Liguria. Una volta guarita torna a casa e trova lavoro alla Borletti. Qui è assunta da 4 giorni quando partecipa da subito agli scioperi per il rinnovo del contratto e alle mobilitazioni. Mentre si trova con le colleghe sedute all’entrata del cancello per non fare entrare i crumiri, l’azienda come rappresaglia mette in atto la serrata, per cui una parte di dipendenti rimane chiusa all’interno e gli altri fuori. Quelli fuori iniziano una forte mobilitazione di protesta. La polizia interviene con le camionette anche sui marciapiedi e manganellano i manifestanti. La serrata dura 15 giorni, i lavoratori e le lavoratrici in lotta organizzano un tendone davanti all’azienda. Partecipa attivamente alle lotte in fabbrica che in quel periodo sono piuttosto dure. Una fabbrica tra le più importanti per i contenuti politici e sindacali grazie alla presenza di una base operaia che rifiuta la burocrazia sindacale, che respinge quasi all’unanimità la piattaforma ufficiale del sindacato, votando invece per forti aumenti salariali uguali per tutti, per una consistente riduzione dell’orario di lavoro, per l’eliminazione delle gabbie salariali e per la completa e immediata parità normativa tra operai e impiegati. In tutte queste lotte Rosanna è tra le più attive e in prima fila.
Nel 1969 viene assunta dalla Sit-Siemens (poi Italtel) prima allo stabilimento di Piazzale Lotto e poi a quello di Castelletto (Settimo Milanese) dove continua la sua attività sindacale assieme alle altre donne operaie. È qui che incontra Enrico Moroni che sarà suo compagno per cinquant’anni, condividendo idee sociali e sindacalismo di azione diretta. Aderisce al Comitato di Lotta e partecipa agli incontri e alle attività degli organismi autonomi di fabbrica (il coordinamento delle Assemblee Autonome operaie e Comitati di Lotta delle fabbriche, di cui si parla nella pubblicazione “L’Utopia Concreta” da poco edita). Viene eletta delegata nel reparto, in prevalenza composto da donne, ed è implacabile con le sue colleghe nella protesta sul luogo di lavoro e in mensa contro i capi che mandano lettere di contestazione ai dipendenti. Partecipa anche alle iniziative delle occupazioni di case per i senza tetto.
Trasferitasi a Senigallia dopo la ristrutturazione aziendale e il passaggio alla Sip (azienda telefonica che diventerà Telecom), sarà la prima operaia nelle Marche a svolgere lavori fino a quel momento dedicati ai soli uomini. Al corso che fa a Bologna, oltre alla teoria e alla pratica, viene istruita al montaggio fino a tre pezzi di scala e alla salita dei pali telefonici con i ramponi. Nella città marchigiana farà parte del gruppo anarchico aderente alla FAI partecipando alle numerose iniziative del movimento e ai coordinamenti regionali dei compagni. Quando un compagno del gruppo anarchico di Senigallia viene aggredito dai fascisti mentre stava di guardia al cartello, posizionato nel Corso, contro l’annunciato arrivo di Almirante, Rosanna che si trova non molto lontano, appresa la notizia, mobilita metà della gente presente nel Corso, organizzando un corteo di protesta fin sotto la sede del MSI. Quando il gruppo di Senigallia decide di partecipare alla mobilitazione dei movimenti per la chiusura della Centrale Nucleare di Montalto di Castro, bloccandola dall’esterno, si presenta ai cancelli lo staff medico chiedendo di passare per il sevizio sanitario. Rosanna prende l’iniziativa con il consenso dei manifestanti e lo accompagna in auto all’interno. Ci fermiamo qui nel raccontare i tanti aneddoti di vita di questa figlia del popolo.
Ritornata a Milano sarà sempre presente, e non solo nel capoluogo lombardo, alle manifestazioni e ai nostri incontri di movimento, è conosciuta da tutti per la sua comunicatività e per il parlare asciutto e diretto, lontano da ogni forma di intellettualismo. Negli ultimi anni, oltre alla storica vicinanza alla FAI e all’Ateneo Libertario, dà la sua adesione all’Unione Sindacale Italiana ed è tra le fondatrici dell’Associazione Culturale “Pietro Gori” di Milano.
I numerosissimi attestati di cordoglio e di ricordi, pervenuti dopo la sua scomparsa, testimoniano la rete di affetto che Rosanna è stata capace di creare con la sua semplicità. Un centinaio di compagni e compagne si sono ritrovat* per un ultimo saluto, sulle note di Addio a Lugano intonate dalla Banda degli Ottoni. Per sua volontà è stata cremata.
Ciao compagna Rosanna.
f.s. – e.m.